Pinacoteca Comunale Cultura a Città di Castello

Pinacoteca Comunale

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Pinacoteca Comunale
Via Della Cannoniera, 22
06012 Città di Castello (PG)
Tel. + 39 075 8554705

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La Pinacoteca Comunale/Palazzo Vitelli

La Pinacoteca Comunale di Città di Castello ha sede a Palazzo Vitelli alla Cannoniera, antica residenza costruita dalla famiglia Vitelli. L'edificio conta di ventisei sale, più un bellissimo giardino, ed ospita moltissime opere del XIV secolo fino al XX.

Il palazzo fu la sede del condottiero Alessandro Vitelli, nipote del più noto Niccolò Vitelli. Venne costruito per il matrimonio di Alessandro con Angela de Rossi, discendente di Caterina Sforza e nipote di Giovanni dalle Bande Nere. La facciata dell'edificio, progettata dal Vasari, fu realizzata dal pittore biturgense Cristoforo Gherardi. L'edificio è una testimonianza dell'alleanza fra i Medici e i Vitelli, in quanto alcuni particolari architettonici come la disposizione delle mezzelune rimandano allo Stemma dei Medici.

La famiglia Vitelli

I Vitelli sono stati i signori di Città di Castello nel periodo che va da XV al XVI secolo. Le origini della famiglia sono oscure; secondo lo scrittore Niccolò Serpetri, i Vitelli discenderebbero addirittura dall'Imperatore romano Vitellio. Lo storico Pompeo Litta Bruni fa invece risalire il cognome al console di Città di Castello Matteo di Vitello, in carica nel XI secolo. Giuseppe Nicasi, ricco proprietario terriero e libero pensatore tifernate, attribuisce ai Vitelli un'origine plebea.

Gerozzo Vitelli, nel XIV secolo, è stato il primo a lasciare dietro di sé una consistente traccia storica. Ricco mercante, si distinse nella vita sociale della città ricoprendo a più riprese prestigiose cariche amministrative. I suoi discendenti contribuirono a plasmare Città di Castello nella città che è oggi.

Il figlio di Gerozzo, Vitellozzo Vitelli, dopo una vita turbolenta e diversi anni in esilio, entrò a far parte del consiglio di Custodia, la magistratura che governava effettivamente la città. In seguito convinse il pontefice a garantire la libertà di Città di Castello, giurando però contemporaneamente fedeltà al papa.

Vitellozzo fu seguito in esilio da suo nipote Niccolò, che gli succedette alla morte come capofamiglia. Niccolò fu podestà in diverse città italiane, fra cui Firenze e Perugia. Al suo ritorno dall'esilio, Niccolò fece strage dei suoi rivali, attirandosi così la diffidenza del papato che non vedeva di buon occhio il suo dominio ormai incontrastato sulla città. Quando questa fu assediata da Giuliano della Rovere e dal condottiero Federico da Montefeltro, Niccolò fu costretto a fuggire. Rientrò in città solo svariati anni più tardi, e la governò per conto dei Medici. I Medici erano nemici di papa Sisto IV a causa del suo coinvolgimento nella congiura dei Pazzi, dove morirono il fratello di Lorenzo il Magnifico e numerosi seguaci della famiglia. Quando le tensioni fra i Medici e il papato furono appianate, il papa tornò a volgere le sue attenzioni su Città di Castello e Niccolò fu allontanato dalla città con la promessa di incarichi prestigiosi. Tornò a Città di Castello solo poco tempo prima di morire.

Il destino della famiglia sembrava segnato, poiché i quattro figli maggiori di Niccolò perirono di morte violenta uno dopo l'altro. Invece Vitellozzo Vitelli, uno dei figli sopravvissuti di Niccolò che ereditò il nome del famoso antenato, divenne il più famoso esponente dei Vitelli.

Vitellozzo era rinomato per le sue doti di condottiero di ventura, grazie alle quali ottenne da papa Alessandro VI la signora su Città di Castello. Nel 1498, assieme al fratello Paolo, venne assunto da Firenze per combattere i nemici della Repubblica. Ma un'esitazione sul campo, dovuta all'assenza di un equipaggiamento adeguato, indusse i fiorentini a sospettare di tradimento i due fratelli.Vitellozzo riuscì a scappare, ma il fratello Paolo venne catturato e giustiziato.

In cerca di vendetta per la morte del fratello, Vitellozzo si pose al soldo di Cesare Borgia, detto il Valentino, figlio di papa Alessandro VI, in quegli anni all'apice della gloria. Ai suoi ordini condurrà diverse campagne militari in Toscana, ma alla fine come molti altri seguaci del Borgia inizierà a temere l'enorme potere ottenuto dal principe, che assieme al padre controllava ormai mezza Italia. Alleatosi di nascosto con la famiglia Orsini, Vitellozzo fu fra i fautori della Congiura della Magione, così chiamata a causa del luogo dove i congiurati si riunirono a complottare la fine del Valentino (la cittadina di Magione in provincia di Perugia).

Scopo della congiura era quello di impedire al Valentino di conquistare Bologna, cosa che avrebbe coronato il suo sogno di creare un Ducato di Romagna. I congiurati strinsero così un accordo segreto con il signore di Bologna, Giovanni II Bentivoglio, e con il Ducato di Urbino già occupato in precedenza dai Borgia. Quando ad Urbino iniziò la rivolta, Vitellozzo e i suoi complici entrarono nella città, e impiccarono i funzionari fedeli ai Borgia che vi trovarono. Vitellozzo si spinse fino al punto di ricercare un'alleanza con l'odiata Firenze, che però lo tradì nuovamente, avvisando Cesare Borgia della congiura tramite Niccolò Macchiavelli.

Il Valentino, con un'abile mossa politica, riuscì a portare dalla sua parte la famiglia Orsini, spezzando definitivamente l'unità fra i congiurati. Promise inoltre il perdono senza conseguenze a tutti i traditori che fossero tornati dalla sua parte. Vitellozzo, che conosceva bene la mentalità e l'abilità politica di Cesare, era estremamente diffidente degli accordi proposti. Ma Paolo Orsini, convinto da Cesare in persona, riuscì a vincere i dubbi del condottiero e alla fine Vitellozzo accettò di incontrare il Valentino.

Cesare Borgia organizzò allora un banchetto a Senigallia, a cui furono invitati Vitellozzo e tutti i suoi complici. Il Valentino in persona andò a incontrare il condottiero al suo arrivo, arrivando fino a baciarlo sulla guancia in segno di riconciliazione. Ma una volta dentro il palazzo dei Borgia, Cesare fece accomodare gli invitati in sala da pranzo e si defilò. Immediatamente i suoi soldati assalirono i congiurati inermi, e li fecero prigionieri. Vitellozzo e Oliverotto da Fermo, considerati i capi della congiura, furono giustiziati quella notte stessa da Michelotto Corella, fedele seguace di Cesare e suo boia personale, che li strangolò entrambi tramite una corda da violino. Il Valentino fu grandemente ammirato per il “magnifico inganno” con cui punì i traditori, non molto benvoluti nelle terre da loro conquistate, che governavano con il pugno di ferro. Gli eventi che portarono alla cosiddetta Strage di Senigallia furono raccontati da Niccolò Macchiavelli, testimone degli avvenimenti e grande ammiratore di Cesare Borgia, su cui baserà la sua opera più conosciuta, Il Principe.

Dopo la morte di Vitellozzo, di gran lunga il membro più illustre della famiglia, altri esponenti della famiglia, quasi tutti condottieri di ventura, contribuirono a plasmare la storia d'Italia, incontrando per la gran parte una morte violenta sul campo di battaglia o a causa di qualche congiura. La famiglia è ormai praticamente estinta, ma ha lasciato a Città di Castello un'importante memoria storica e molti tesori di grande importanza culturale, come il palazzo che ospita la Pinacoteca Comunale.

 

Tour virtuale delle opere.

Come raggiungerci

Da Nord (Bologna e Firenze): Prendete l'Autostrada del Sole A1, uscite al casello di Arezzo, proseguite nella Vallata S.S. 73 e 221, uscita Città di Castello, prendere Via Aretina, alla rotonda seconda uscita in via S. Florido, girate a destra in Via Volpe Vecchia, a destra in Via dell'Aretino, a sinistra in Via Santa Caterina e destra in Via della Cannoniera.

Da Sud (Roma): Prendete l'Autostrada del Sole A1, uscita di Orte, seguite la E45, uscite a Città di Castello, prendere Via Aretina, alla rotonda seconda uscita in via S. Florido, girate a destra in Via Volpe Vecchia, a destra in Via dell'Aretino, a sinistra in Via Santa Caterina e destra in Via della Cannoniera.


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